Quando il piacere diventa una trappola: simulazioni d’amore e solitudine aumentata

Tinder ha recentemente introdotto un nuovo esperimento interattivo chiamato The Game Game, una simulazione romantica che sfrutta l’intelligenza artificiale (GPT-4o) per permettere agli utenti di flirtare con chatbot in contesti narrativi da commedia romantica. L’obiettivo dichiarato è semplice: restituire agli utenti uno spazio ludico, privo di pressioni, dove possano “testare approcci” e acquisire fiducia nelle interazioni reali. Ma dietro questa geniale mossa commerciale e apparentemente innocua, si nasconde un mutamento profondo nelle modalità relazionali, nel concetto stesso di desiderio e nella capacità umana di costruire legami autentici.

Da un punto di vista psicologico strategico, ciò che sta prendendo piede è un vero e proprio piacere mancato, ovvero una forma di gratificazione apparente che, invece di nutrire il desiderio, lo impoverisce. Non si tratta solo di un gioco: flirtare senza rischi, emozionarsi senza esporsi, fantasticare senza compromettersi. Il tutto mediato da un’intelligenza artificiale che simula il calore umano, senza però restituire mai il corpo, l’attesa, la frustrazione, né tantomeno la possibilità dell’incontro reale.

In un’epoca segnata dalla sovraesposizione digitale e dalla crescente difficoltà ad affrontare il reale, l’idea di giocare all’amore con un chatbot rappresenta un adattamento perfetto a un bisogno sociale profondo: evitare la frustrazione. Le nuove generazioni – in particolare la Gen Z, cui Tinder si rivolge con più insistenza – vivono in un contesto dove la relazione umana è diventata un terreno ansiogeno, dominato da paura del rifiuto, timore del giudizio e costante confronto sociale. In questo scenario, il chatbot romantico diventa una forma di “palestra” sicura per chi desidera evitare il rischio, restando comunque all’interno di un’esperienza simulata di intimità. Ma il problema, da un punto di vista psicologico, è che il piacere, per esistere pienamente, ha bisogno dell’assenza, della tensione, della possibilità che l’altro non risponda, che le cose non vadano come previsto. Invece, flirtare con un chatbot elimina l’incertezza, neutralizza l’angoscia… e con essa anche l’autenticità del desiderio.

Il desiderio umano si nutre di mancanza. Freud, Lacan, Nietzsche, ma anche autori moderni come Galimberti o Recalcati, hanno mostrato quanto il vuoto sia essenziale per generare significato. Il piacere mancato nasce proprio da una saturazione del desiderio: non c’è più tensione, non c’è più distanza, non c’è più l’altro in quanto Altro. C’è solo uno specchio in cui l’utente si riflette e si auto-compiace. In questo senso, l’AI romantica è una trappola perfetta: l’altro non mi mette in discussione, non mi rifiuta, non mi costringe a crescere o ad ascoltare. L’altro mi conferma, mi applaude, mi restituisce l’immagine che desidero avere di me stesso. Ma proprio per questo, l’esperienza è priva di trasformazione, e quindi anche di vera soddisfazione. Il piacere mancato non è un’assenza di piacere, ma un piacere che si autoannulla nella sua eccessiva prevedibilità.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un progressivo slittamento della sessualità verso l’online: pornografia in HD, sexting, cybersex. Con l’avvento dell’AI, siamo entrati in una fase ulteriore: la relazione stessa viene simulata, non più solo il corpo. L’AI non serve più solo a soddisfare un impulso, ma a inscenare un dialogo, un sentimento, una dinamica affettiva. E qui si fa ancora più evidente il paradosso: mentre la tecnologia simula ogni forma di calore, l’utente si raffredda emotivamente. Più il chatbot è performante, più l’essere umano perde la capacità di leggere l’altro, di ascoltarlo, di tollerare la sua diversità.

Il titolo scelto da Tinder – The Game Game – è emblematico. Un gioco che gioca con il gioco. Un flirt che non flirta davvero. Una relazione senza corpo. Una seduzione senza sudore. Dal punto di vista strategico, possiamo leggere questa proposta come una forma di evitamento raffinato: l’utente simula di esporsi, ma in realtà non si espone mai. Si allena a un incontro che non avverrà, si prepara a un gesto che non compirà, si entusiasma per uno scambio che non porterà mai a un’esperienza concreta. L’effetto finale è quello che Giorgio Nardone definirebbe una “tentata soluzione fallimentare”: sembra utile, ma in realtà aggrava il problema. Perché più gioco all’amore senza amore, meno sarò capace di amare davvero.

Forse, col tempo, ripenseremo a questi flirt digitali come si ricorda un sogno mai diventato realtà: affascinante, sì, ma privo di sostanza. Un dialogo perfetto ma senza voce, un abbraccio simulato che non ha lasciato alcun calore sulla pelle. Perché le relazioni digitali sono così: seducono con la promessa, ma lasciano vuoti appena ci si sveglia. Non nutrono, non costruiscono, non lasciano traccia. E allora, più che temere l’intelligenza artificiale, dovremmo temere la nostra incapacità di desiderare davvero. Perché solo chi desidera può scegliere, rischiare, perdere… e infine godere.

JG

Articolo pubblicato su SienaNews

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