I regali rendono felici?

Il Santo Natale è alle porte e, nonostante o proprio come reazione al sofferto periodo di emergenza sanitaria che viviamo da dieci mesi a questa parte, stiamo assistendo a una sorta di nevrosi di massa caratterizzata dalla rincorsa ai regali. I regali più belli, più opportuni, quelli che pensiamo possano essere i più graditi o quantomeno, apprezzati. Talvolta doniamo un regalo con il cuore, altre volte regaliamo un dono per convenienza o opportunità, se non per dovere. Alcuni regali eviteremmo volentieri di farli, mentre altri doni non riusciremo a farli come vorremmo. In ogni caso, nel corso di queste settimane, tanto care ai negozianti, ma forse in questo 2020 ancor più care ad Amazon (probabilmente emergerà una crescita delle vendite del 32%, rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, alla luce dell’esplosione registrata delle azioni di Amazon, schizzate del 73% quest'anno) riceveremo e faremo regali, sebbene non sia ben chiaro in quali occasioni avremo modo di scambiarceli. In un articolo pubblicato su SienaNews qualche Natale fa, sottolineavo che questa scintillante frenesia natalizia, che talvolta sembrava aver assunto più le sembianze di un baccanale dionisiaco piuttosto che una sacra ricorrenza, poneva l’uomo occidentale, che grazie alle proprie capacità introspettive non perde mai occasione di criticare la commercialità del Santo Natale, su un filo teso tra l’essere altruista e l’essere egoista. Ora il Coronavirus ha un po’ cambiato le regole del gioco. I vari lockdown e le restrizioni che la nostra vita sociale ha subito, non possono che indurci a riflettere su temi fino al Natale scorso mettevamo in secondo piano. L’attuale condizione, se da un lato crea angoscia e ben motivate preoccupazioni economiche, dall’altro può aiutare, in alcune situazioni, ad imparare a stare bene da soli, prendendo cura di noi stessi, per poi poter star bene con gli altri, con i nostri cari, e prenderci cura degli altri quando sarà possibile. Questa considerazione ha molto a che fare con il Natale e ancor più con i regali che usualmente abbiamo sempre fatto a Natale. Da molti è sostenuta la tesi che il possesso di beni materiali non sia, di per sé, garanzia di felicità. L’acquisto di alcuni beni è spesso sotteso dalla promessa di felicità che il possesso di alcuni oggetti prelude. In realtà, non possiamo dire con certezza che questa promessa venga sempre mantenuta. Gli esperti del settore descrivono il livello di felicità personale come una percezione intrinseca, vulnerabile e instabile. Il livello percepito di felicità varia anche in base ai regali che riceviamo? Alcuni ricercatori hanno indagato questo amletico dubbio, valutando proprio la variabilità del tasso di felicità in relazione alla tipologia di doni ricevuti. In altre parole, quali regali hanno la capacità di produrre appaganti e duraturi effetti psicologici sia nel donatore che nel ricevente? Diversi studi, pubblicati su autorevoli riviste scientifiche, si sono occupati di questo argomento. Per rispondere a questa domanda dobbiamo preventivamente considerare che esistono due differenti categorie di regali: quelli materiali e quelli esperienziali. Tra i primi rientra tutto ciò che possiamo possedere, utilizzare, in altre parole, tutto ciò che possiamo avere. I regali esperienziali invece, non sono basati sul principio dell’avere, ma sul principio dell’essere. La distinzione tra queste due categorie, tanto cara a Eric Fromm, determina due classi di regali decisamente differenti nella sostanza e nei loro effetti. I regali materiali sembra che siano capaci di produrre un discreto piacere nel breve termine ma non hanno la capacità di modificare, nel suo complesso e in modalità stabile, il benessere psicologico che il soggetto percepisce. In altri termini, il possesso del bene materiale non rende soddisfatti chi non è felice nella vita. Che effetti hanno invece i regali esperienziali? E’ stato osservato che le esperienze condivise sono meno suscettibili di saturazione edonica e hanno la capacità di creare esperienze emozionali, di favorire la sintonizzazione tra esseri umani che a sua volta, in qualità di animali sociali, sostanzia un’importante parte della nostra identità. Paradossalmente i beni materiali sembrano avere una maggior durata: un iPhone dura, se non cade rovinosamente, più di una cena condivisa con mamma e più di una partita di calcio condivisa con babbo. In realtà, questa maggior durata è apparente, non sostanziale. Condividere esperienze insieme, passare il tempo con un nostro caro, andare insieme a vedere una mostra, organizzare un viaggio da poter realizzare quando le condizioni lo permetteranno, sfogliare insieme un album di vecchie foto, solo per fare alcuni semplici esempi, sono tutte azioni che hanno la capacità di lasciare un ricordo, un’emozione che può durare tutta una vita, oltre al vantaggio di favorire la connessione emotiva tra di noi e i nostri cari. Di queste esperienze, ovviamente, ne beneficia anche il donatore, non solo il ricevente. Chi riceve e chi fa un regalo esperienziale favorisce la relazione, tocca le proprie e dell’altro corde emotive e incentiva la gratitudine. Questi aspetti hanno la capacità di rendere ancora più umano l’essere umano. Tutto ciò non è scontato. Le parole di Eric Fromm: “Nel diciannovesimo secolo il problema era che Dio è morto; nel ventesimo secolo il problema è che l’uomo è morto”. Ecco, se è vero che un tempo di crisi può al contempo rappresentare un’opportunità di cambiamento, possiamo iniziare a recuperare l’uomo partendo proprio da noi stessi, partendo anche da ciò che regaleremo nelle prossime due settimane. Buon Natale!

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